Le contratture muscolari

La contrattura è una contrazione persistente delle fibre muscolari e rappresenta il modo in cui il
muscolo si difende quando viene sollecitato in modo anomalo oppure per proteggere le
articolazioni quando sono infiammate o sottoposte a stress, limitandone il movimento.

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Integratori alimentari, un valido supporto per preservare il nostro stato di benessere. Ma sono tutti uguali?

L’utilizzo di integratori alimentari è in continuo aumento nella popolazione in generale.
Essi sono definiti come prodotti alimentari concentrati di nutrienti o altre sostanze aventi un effetto nutritivo
o fisiologico, e possono essere utilizzati per correggere le carenze nutrizionali, mantenere un
adeguato apporto di alcuni nutrienti o coadiuvare specifiche funzioni fisiologiche.

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Cambio di stagione: stanchezza fisica e mentale

CAMBIO di STAGIONE: STANCHEZZA FISICA E MENTALE

Fatichi ad alzarti dal letto la mattina?
Non hai abbastanza energia per le tue attività quotidiane?
Ti affatichi facilmente?
Hai problemi di concentrazione?
Senti una stanchezza persistente?
Avverti debolezza muscolare?

Se hai risposto SI ad almeno 3 domande è probabile che tu stia vivendo una condizione che molto spesso si manifesta nei mesi caratterizzati dal cambio stagione. 

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Artrosi: cos’è e come prevenirla

1. Cos'è l'artrosi?

L’artrosi o osteoartrosi è una patologia reumatica cronica e degenerativa che interessa le articolazioni dovuta all’usura e all’invecchiamento delle stesse. É caratterizzata, inizialmente da lesioni della cartilagine articolare a cui consegue una modificazione di tutte le strutture che la compongono: tessuto osseo, capsula, legamenti, tendini e muscoli, e che in fase avanzata causa una perdita totale della funzionalità dell’articolazione stessa. 

In generale tale patologia interessa prevalentemente le sedi sottoposte a un carico corporeo maggiore come l’anca, la colonna vertebrale e le ginocchia e si manifesta con formazione di nuovo tessuto connettivo e nuovo osso intorno alla zona interessata. A seguito di tale processo degenerativo, la cartilagine che riveste le superfici ossee all’interno delle articolazioni e che ha la funzione di ridurre l’attrito tra le ossa, risulta deteriorata a causa dell’usura e perde quindi la sua caratteristica elasticità divenendo più rigida e quindi più soggetta a danneggiarsi.  Quando questa condizione peggiora, a causa di un danno importante alla cartilagine, essa perde la sua caratteristica funzione di ridurre l’attrito tra i due capi ossei, i quali, sfregando durante il movimento, provocano infiammazione accompagnata da dolore, gonfiore e rigidità. 

L’artrosi è classificata in:

  • Artrosi primaria: alterazione della cartilagine articolare in assenza di  “apparenti” cause o malattie concomitanti e può presentarsi in forma isolata in una persona altrimenti sana;

  • Artrosi secondaria: correlata ad evento o   malattia in cui il processo degenerativo è determinato da una causa o fattori estrinseci alla cartilagine che ha determinato il danno articolare (es. traumi o fattori come l’uso prolungato e ripetitivo di alcune articolazioni, il sovrappeso, infezioni o malattie metaboliche). 

2. Epidemiologia

Tale patologia interessa circa il 10 % della popolazione adulta e il 50% di coloro che hanno superato i 60 anni di età. Ha un’incidenza maggiore nelle donne con più di cinquant’anni in post-menopausa, mentre prima dei 50 anni l’artrosi colpisce ugualmente uomini e donne. 

Secondo l’Istat, l’artrosi/artrite interessa il 16,4% della popolazione risultando, insieme all’osteoporosi, tra le malattie o condizioni croniche più diffuse in Italia dopo l’ipertensione. La prevalenza di questa patologia aumenta con l’età ma presenta nette differenze di genere: è presente nella maggioranza degli esseri umani al quarantesimo anno di età e nella quasi totalità dei settantenni, con un picco di massima incidenza fra i 75 ed i 79 anni (tra gli over 75enni, il 68,2% delle donne e il 48,7% degli uomini dichiarano di soffrire di artrosi/artrite) (Istat 2013). 

Nonostante solo una minoranza degli affetti lamenti disturbi, l’osteoartrosi è di gran lunga la causa più importante di dolore e di invalidità per malattie articolari. Prima dei 45 anni è più colpito il sesso maschile, dopo tale età il sesso femminile. La prevalenza delle lesioni aumenta con l’aumentare dell’età.

3. Cause e fattori di rischio

L’artrosi è una patologia strettamente correlata all’invecchiamento e all’usura della cartilagine articolare, ma ci sono dei fattori di rischio che predispongono maggiormente alla malattia quali:

  • Familiarità: alcune malattie ereditarie come l’emocromatosi, la sindrome di Ehlers-Danlos e la sindrome di Marfan compromettono il metabolismo e/o la funzione articolare. Anche l’artrosi delle dita presenta una trasmissione familiare;
  • Sovrappeso e obesità: l’eccesso di peso a lungo andare danneggia soprattutto le articolazioni di anca, ginocchia e piede inducendo un carico eccessivo continuo in queste zone;
  • Fratture e lesioni articolari;
  • Alcuni lavori che richiedono posizioni forzate per lungo tempo e che sovraccaricano alcuni tipi di articolazioni (per es. stare inginocchiati a lungo) oppure il continuo utilizzo di alcune articolazioni (per es. le articolazioni delle dita delle mani);
  • Alcuni tipi di sport (es. il calcio): in cui si ha un’usura precoce delle cartilagini di piedi e ginocchia;
  • Malattie circolatorie che causano sanguinamento e danno nelle articolazioni
  • Alcune forme di artrite (per es. gotta, o artrite reumatoide) che danneggiano l’articolazione e la rendono più suscettibile ai danni della cartilagine.

4. Sintomi: come riconoscere l'artrosi

Tra i sintomi più comuni che possono aiutare a riconoscere questo tipo di patologia troviamo:

  • il dolore: che in genere è di tipo meccanico, il quale tende ad essere più intenso dopo l’esercizio fisico oppure quando si sovraccarica l’articolazione;
  • spesso accompagnato a “scrosci” articolari: piccoli rumori dovuti al cedimento dell’articolazione;
  • formicolio
  • intorpidimento delle aree del corpo interessate;
  • rigidità;
  • limitazione nell’utilizzo dell’articolazione

Altre manifestazioni legate all’artrosi possono riguardare le articolazioni delle mani: possono comparire delle deformazioni o nella parte terminale delle dita che prendono il nome di “noduli di Heberden” oppure nella parte iniziale (noduli di Bouchard). Alcuni dei pazienti, però non sempre manifestano questi sintomi e la patologia si rende evidente solo in seguito ad un esame radiografico.

5. Patogenesi: perchè si va incontro all'artrosi

Ci sono ad oggi diverse ipotesi sul processo fisiopatologico che porta all’osteoartrosi. In condizioni fisiologiche normali l’articolazione può essere considerata un microambiente in cui le varie strutture che lo compongono (la cartilagine, capsula, liquido sinoviale, osso) presentano una configurazione anatomica complementare e assicurano una perfetta integrazione biomeccanica. Per molto tempo si è ritenuto che sia nel caso in cui un’articolazione normale sia sottoposta ad un trauma o sollecitazione esterna troppo intensa, sia quando un’articolazione già compromessa (a causa di anomalie del collagene o a causa di una alterazione dei condrociti) sia sottoposta ad una sollecitazione normale, la sola struttura a risentirne fosse la cartilagine articolare: inizialmente l’insulto esterno stimola i condrociti, le cellule del tessuto osseo deputate alla degradazione della matrice ossea nel processo di rimodellamento, a degradare la cartilagine formando detriti cartilaginei che inducono il liquido sinoviale alla fagocitosi di questi ultimi dando avvio al processo infiammatorio con rilascio di citochine pro-infiammatorie (es. IL 1-beta) le quali, a loro volta, vanno ad alimentare e ad amplificare ulteriormente il processo infiammatorio, responsabile di una sempre maggiore sollecitazione dell’osso che reagisce ispessendosi e formando osteofiti. Questa condizione è accompagnata da dolore, gonfiore e rigidità articolare.

Nel corso del tempo, molti studi hanno dimostrato un coinvolgimento dei muscoli scheletrici nella fisiopatologia dell’artrosi.  Le disfunzioni motorie (es. debolezza) e sensoriali (es. diminuito tono propriocettivo) a loro carico hanno, infatti, un ruolo assolutamente determinante, sia come fattori di innesco che come meccanismi sottostanti a sintomi conclamati (es. dolore ed invalidità funzionale). Se in passato ci si era focalizzati solo su cartilagine ed osso come strutture coinvolte, non tenendo conto delle serie conseguenze a carico dei muscoli periarticolari, oggi non è più così.  I muscoli hanno funzioni motorie estremamente importanti, sono responsabili del movimento, conferiscono stabilità e proteggono da movimenti bruschi e dissipano il carico eccessivo durante l’andatura. Inoltre, i muscoli hanno una funzione sensoriale che contribuisce al mantenimento della posizione del corpo e del movimento. Per poter funzionare in modo ottimale, un muscolo deve essere forte, integro e non affaticato. 

Alcuni studi più recenti hanno dimostrato una stretta relazione tra debolezza muscolare e processo artrosico: una condizione di riduzione di volume e degenerazione funzionale dei muscoli (come nel caso dell’atrofia muscolare) da un lato può essere conseguenza del disuso dell’articolazione e del processo infiammatorio alla base dell’osteoartrosi, dall’altro, la debolezza muscolare stessa può essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo e la progressione dell’artrosi.

L’invecchiamento, i traumi, i sovraccarichi funzionali, sono tutti fattori che possono causare, in prima battuta, una disfunzione muscolare sensitivo-motoria, alla base della compromissione di quei riflessi neuromuscolari che proteggono l’articolazione ed assorbono gli shock di varia natura che su di essa si concentrano. La disfunzione dei muscoli sensomotori dovuta all’età, l’affaticamento, un debole trauma precedente, o un input sensoriale anormale sulla cartilagine, o riflessi neuromuscolari alterati possono portare ad una riduzione della capacità di assorbimento degli urti che a loro volta causano un eccessivo e rapido carico articolare durante il movimento. Tutto questo induce microtraumi e logoramento della cartilagine con successive microfratture e sclerosi dell’osso subcondrale, caratteristica visibile radiologicamente nell’osteoartrosi

6. Come prevenire l'artrosi

Per prevenire l’aumento del tasso di artrosi derivanti dall’invecchiamento della popolazione è necessario attuare strategie di prevenzione primaria e secondaria. Le prime hanno lo scopo di prevenire l’insorgenza della malattia; le seconde, invece, comprendono l’individuazione e il trattamento dei fattori di rischio per evitare la progressione in soggetti già a rischio. Appartengono all’una e all’altra categoria:

  • Trattamento dell’obesità: Oggi il tasso di obesità sull’intera popolazione sta aumentando a causa di una scorretta alimentazione e di una eccessiva sedentarietà. Per coloro che associano alla dieta l’esercizio fisico, la percentuale di mantenimento della perdita di peso aumenta. Il controllo del peso aiuta a ridurre il carico sulle articolazioni.
  • Praticare attività fisica ed evitare la sedentarietà: l’attività fisica moderata è utile per mantenere un buon tono muscolare, l’inattività, al contrario può indebolire i muscoli, rende le articolazioni più rigide e danneggia l’equilibrio oltre a ridurre la tolleranza al dolore. Esercizi di stretching mantengono un buon movimento articolare.
  • Evitare sforzi eccessivi e prevenire le complicanze da traumi: un iper-uso articolare, sottoponendo le articolazioni ad eccessivo e ripetitivo carico di lavoro, conduce ad un’usura articolare a causa di uno stress troppo intenso.
  • Seguire una dieta equilibrata: alcuni alimenti, presenti con costanza nell’alimentazione, possono aiutare a combattere l’infiammazione e riducono lo stress ossidativo dei tessuti in generale e quindi anche delle cartilagini: verdura cruda o cotta a vapore, semi di lino e di zucca, frutta fresca di stagione, frutta a guscio, legumi, yogurt,   formaggi meglio se di pecora e di capra ma consumati in piccole quantità, pesce, uova.  É necessario contenere il consumo di carne, di superalcolici e dolciumi.

Bibliografia

La fragilità ossea

Fragilità ossea

1. Cos’è la fragilità ossea?

Con il termine fragilità ossea si fa riferimento alla maggiore predisposizione dell’osso a rompersi.

Si definisce frattura da fragilità, infatti, quella che avviene spontaneamente, senza una causa evidente (esempio un trauma importante) alla cui base c’è invece la ridotta resistenza dello scheletro.

Le cause dell’aumentata fragilità scheletrica sono attribuibili a fattori diversi che in parte non sono modificabili, ad esempio l’invecchiamento o a fattori genetici (esempio osteogenesi imperfetta) ed in parte sono correggibili, esempio abitudini e comportamenti scorretti  .

Da un punto di vista fisiopatologico, la fragilità ossea è  collegata ad una progressiva diminuzione della quantità e/o della qualità del tessuto osseo che diventa così più sottile e poroso (osteoporosi), situazione asintomatica fino al manifestarsi di una frattura da fragilità. Oggi è sempre più diffusa in quanto strettamente legata all’invecchiamento della popolazione.

Quando una persona viene colpita da una prima frattura da fragilità ha un rischio cinque volte maggiore di subire una seconda frattura entro i successivi 2 anni. La frattura da fragilità è causata dalla rottura di un osso fragile del nostro scheletro e si differenzia da quella da trauma perché non è causata da un evento tale da giustificare una simile lesione. A rompersi infatti non è un osso sano ma sono segmenti indeboliti, di frequente a seguito di un processo osteoporotico, ma non solo. Si tratta di una frattura risultante da forze meccaniche che normalmente non potrebbero a causare una simile lesione. Tali lesioni, si verificano in modo spontaneo, a causa di piccoli traumi o perfino del solo peso corporeo. Può dunque avvenire ad esempio per una caduta dalla posizione eretta o da una sedia o al sollevamento di un peso banale, oppure addirittura a causa del carico del peso corporeo sullo scheletro.

Colpisce più di frequente vertebre, collo del femore, avambraccio/epifisi distale del radio (polso), testa dell’omero e bacino.

Alcuni dei sintomi delle fratture da fragilità sono proprio il dolore e l’affaticamento ed è per questo motivo che la fragilità ossea rappresenta un grave ostacolo all’invecchiamento in buona salute, che può compromettere la qualità di vita dei 4 milioni di persone che convivono con l’osteoporosi in Italia.

2. Epidemiologia

Almeno una donna su 3 e un uomo su 5 sopra i 50 anni, svilupperà nel corso della vita, una frattura da fragilità.

Le fratture da fragilità rappresentano un problema emergente di salute pubblica, soprattutto a causa dell’incremento della longevità della popolazione: l’età avanzata è infatti correlata a maggiore rischio.

Si stima che la fragilità ossea provochi nel mondo 8,9 milioni di fratture negli uomini e nelle donne all’anno. Questo vuol dire che ogni 3 secondi si verifica una frattura da fragilità anche a seguito di lievi sollecitazioni. Anche in Italia la fragilità ossea sta diventando una vera e propria emergenza se si pensa che 4 milioni di italiani con età superiore ai 50 anni sono colpiti da osteoporosi (3,2 milioni le donne un evento 0,8 milioni gli uomini) gran parte dei quali hanno già subito un evento fratturativo. Spesso la percezione del pericolo è inadeguata: va sottolineato che, dal punto di vista epidemiologico, in Europa la probabilità di incorrere in una frattura da fragilità nel corso della vita (es. frattura dell’anca) è 10-23% nelle donne e 6-14% negli uomini.

Il rischio di subire una frattura da fragilità nelle donne italiane, con età superiore ai 50 anni, è del 34% rispetto al 31% della media europea, negli uomini del 16% rispetto al 14% della media europea. Inoltre, il 75% delle donne non ricevono il trattamento farmacologico, a seguito di una frattura da fragilità. Questi numeri, così come l’incidenza delle fratture da fragilità, sono destinati a crescere entro il 2030, quando la popolazione italiana conterà il maggior numero di anziani, con pesanti conseguenze anche sul Sistema sanitario nazionale.

Ad oggi, le fratture da fragilità generano costi sanitari per 9,4 miliardi di euro, con un aumento stimato del +26,2% nei prossimi 10 anni. (Report IOF)

3. Cause e fattori di rischio

La frattura di fragilità spesso, ma non sempre, coincide con la condizione di osteoporosi.

Sono colpite da fratture di fragilità anche persone senza tale patologia, questo perché l’osso può essere vicino alla normalità dal punto di vista della densità minerale ma compromesso dal punto di vista qualitativo. Tuttavia l’osteoporosi rimane tra i principali fattori di rischio per le fratture da fragilità ossea.

L’osteoporosi è definita dalla World Health Organization come un disordine scheletrico sistemico, caratterizzato da compromissione della resistenza ossea che predispone a un aumento di fragilità scheletrica e quindi a rischio di frattura. Si tratta di un’alterazione della quantità e della qualità del tessuto osseo. È una condizione dell’osso che può avere origini genetiche o comparire nel corso della nostra vita a causa di vari fattori.

Un primo segnale è la riduzione della densità minerale ossea, che è in grado di predire il rischio di frattura. Le donne sono più soggette rispetto agli uomini in quanto questa condizione è correlata alla diminuzione degli estrogeni a seguito dell’arrivo della menopausa che accelera la perdita dell’osso ma è una patologia che riguarda entrambi i sessi. L’uomo è meno predisposto alla malattia in quanto la sua struttura scheletrica è piu’ forte, inoltre l’andropausa è piu’ tardiva arrivando intorno ai 70 anni. Nelle donne tra i 50 e gli 80 anni, in seguito alla prima frattura da fragilità il rischio di subire una successiva frattura entro il primo anno è cinque volte superiore rispetto alle donne che non hanno subito alcuna frattura (report IOS). Tale rischio è più alto nei primi 2 anni successivi a una frattura iniziale, in cui esiste il rischio imminente di un’altra frattura nello stesso sito o in altri siti.

Fattori di rischio piu’ comuni per le fratture da fragilità, oltre all’osteoporosi, sono:

  • età avanzata: piu’ di 50 anni per l’uomo
  • sesso femminile: periodo post-menopausa
  • Bassa densità minerale ossea
  • precedenti fratture da fragilità
  • familiarità per osteoporosi e per la frattura dell’anca
  • ridotto introito alimentare di calcio
  • elevato introito alimentare di sodio e/o caffeina
  • abuso di alcool
  • tabagismo
  • ridotta attività fisica e immobilità prolungata
  • sovrappeso o sottopeso
  • Carenze nutrizionali di vitamine (ad esempio vitamina D), proteine, minerali
  • Assunzione per lunghi periodi di farmaci quali i corticosteroidi, anti-estrogeni, antiandrogenici
  • malattie associate

4. Patogenesi: perché le ossa diventano fragili

In condizioni fisiologiche normali, il tessuto osseo usurato viene rimosso da cellule del tessuto osseo chiamate osteoclasti che erodono la matrice liberando i minerali in essa contenuti e viene sostituito dall’azione di cellule che prendono il nome di osteoblasti che, al contrario depongono nuova matrice, attraverso un processo che prende il nome di rimodellamento osseo. L’equilibrio tra rimozione e formazione di nuovo tessuto mantiene l’apparato scheletrico leggero, elastico e resistente. Nel corso degli anni, questo equilibrio tende a sbilanciarsi a favore di una maggiore maggiore attività di erosione perché le sostanze coinvolte in questo processo come le vitamine D e K e la capacità di utilizzare il calcio e altri minerali diminuiscono. Con gli anni, e a causa di un mancato stile di vita sano e in assenza di un esercizio fisico regolare, anche i muscoli tendono ad indebolirsi , in questo modo viene meno la stimolazione positiva sulle ossa e sulle articolazioni.

La fragilità ossea, quindi,  è determinata:

  • dalla perdita di spessore dell’osso corticale: per le donne del 10% entro 5 anni dalla menopausa e inseguito dell’1% all’anno, nell’uomo una lenta e costante diminuzione dello 0,2% all’anno
  • dall’ aumento della porosità dell’osso trabecolare: del 25% entro 5 anni dalla menopausa e in seguito dell’1% all’anno nella donna, una costante diminuzione dell’1% all’anno nell’uomo.

5. Come prevenire la fragilità ossea?

Prevenire la fragilità ossea è possibile (IOF). Per farlo è necessario che la prevenzione delle fratture da fragilità avvenga su due fronti:

  • Intercettando la condizione che predispone al rischio di fragilità ossea come l’osteoporosi: trattandosi di una condizione silente, di cui non si percepiscono sintomi o segnali finché non si verifica una frattura, è necessario prevenirla o ritardarne l’insorgenza
  • Prevenendo le fratture da fragilità una volta che l’osteoporosi è stata diagnosticata in soggetti con o senza fratture preesistenti

La prevenzione, in generale, si basa sulla modificazione dei fattori di rischio:

  • Alimentazione equilibrata: dieta ricca di calcio e vitamine, tra queste in particolare la vitamina D, è importante perché garantisce l’efficiente assorbimento intestinale del calcio da fonti alimentari e la cui carenza deriva soprattutto da un’insufficiente esposizione solare. Il fabbisogno giornaliero di calcio e vitamina dovrebbe essere 1000 mg al giorno tra 25-50 anni, 1000 mg al giorno in donne in postmenopausa in terapia ormonale sostitutiva o in uomini di età compresa tra i 50 e i 65 anni, 1200mg al giorno in donne in postmenopausa non in terapia ormonale sostitutiva e in uomini di età superiore a 65 anni. Tra gli alimenti che contengono questo nutriente ci sono: pesce, come il merluzzo, pesce grasso come il salmone selvatico, sardine e tonno, olio di fegato di alcuni pesci (es. merluzzo), tuorlo d’uovo, latticini.
  • Fare regolarmente attività fisica: allenarsi con costanza favorisce non solo il rinforzo delle ossa e dello scheletro, ma è essenziale per tonificare e sviluppare i muscoli e a mantenere un peso corretto.
  • Correggere fattori di rischio modificabili: fumo di sigaretta, abuso di alcool
  • Prestare massima attenzione ad evitare le cadute

Bibliografia

  • Osteoporosis: Fragility Fracture Risk: Osteoporosis: Assessing the Risk of Fragility Fracture. https://www.ncbi.nlm. nih.gov/books/NBK115326/
  • Rossini et al. Guidelines for the diagnosis, prevention and management of osteoporosis. Reumatismo, 2016; 68 (1): 1-39
  • World Health Organization. Global Health and Ageing. Available at: http://www.who.int/ageing/publications/global_health. pdf?ua=1. Accessed August 24, 2017.
  • World Health Organization. WHO Report on Ageing and Health: Background Paper on Musculoskeletal Health and the Impact of Musculoskeletal Disorders in the Elderly. Available at: http://bjdonline.org/wp-content/uploads/2016/08/MSK-Health-and-Ageing_Report-prepared-for-the-WHO-World-Report-on-Ageing-and-Health-10-July-2015.pdf
  • Report IOF. L’onere silenzioso delle fratture da fragilità per i singoli individui e i sistemi sanitari. https://www.iofbonehealth.org/broken-bones-broken-lives
  • Hernlund E, Svedbom A, Ivergard M, et al. Osteoporosis in the European Union: medical management, epidemiologyand economic burden. A report prepared in collaboration with the International Osteoporosis Foundation (IOF)and the European Federation of Pharmaceutical Industry Associations (EFPIA). Arch Osteoporos. 2013;8:136.
  • Come si cura l’osteoporosi? https://www.siommms.it/come-si-cura-losteoporosi/
  • International Osteoporosis Foundation. Stop at One: Make Your First Break Your Last. Available at: http://share.iofbonehealth. org/ WOD/2012/patient_brochure/WOD12-patient_brochure.pdf. Accessed August 24, 2017a

Il recupero giusto dopo la tua corsa

Dopo aver praticato l’attività fisica, energia e nutrienti persi vanno recuperati e reintegrati, per avviare il processo di crescita e la riparazione muscolare.

Cosa perdiamo durante una corsa?

Liquidi e sali minerali attraverso la sudorazione, zuccheri (glucosio nel sangue e glicogeno muscolare ed epatico) che sono serviti come carburante e massa muscolare sottoposta allo sforzo fisico.

Non tutte le corse richiedono uno spuntino o pasto immediato: se hai appena finito una corsetta leggera non c’è bisogno di reintegrare. Viceversa se hai fatto una corsa di primo mattino, senza fare colazione, è doveroso il reintegro immediato. Se invece hai corso per più di un’ora, magari un lungo, si può pensare ad una barretta apposita per il recupero e di certo non poco calorica!

Liquidi: in primo piano acqua minerale a temperatura ambiente. Il runner ne ha bisogno per evitare disidratazione e per reintegrare gli elettroliti persi; la quantità raccomandata è di 2-3 l/die, a seconda del fisico e dello sforzo.

Carboidrati: durante la corsa vi è il consumo delle riserve glucidiche (fegato e muscolo) che vanno ripristinate per prepararti ad avere l’energia necessaria alla prossima uscita. Dopo l’attività sono ideali carboidrati semplici ad alto indice glicemico più velocemente assorbibili (pane e miele o banana).

Proteine: durante la corsa il muscolo subisce micro-lacerazioni nelle fibre muscolari che lo compongono e che si fanno sentire con quel tipico indolenzimento. Il muscolo dovrà essere ricostruito e i mattoncini sono le proteine. La cosa importante è avere a disposizione tutti gli amminoacidi essenziali componendo in modo adeguato il pasto post-corsa (d’origine animale: carne, uova, pesce e latticini; d’origine vegetale: legumi, frutta secca, soia e derivati).

Se è l’ora di pranzo o cena, fai un pasto completo:

  • Riso, carne bianca e verdure: tocchetti di pollo o tacchino saltati in padella guarniti di zenzero e curcuma con contorno di asparagi o agretti e riso basmati bianco condito con olio evo.
  • Uova a frittata e pane: stufare in padella antiaderente spinaci o biete e a cottura ultimata aggiungere 2 uova sbattute con aromi; accompagnare con una fetta di pane di segale tostato.
  • Pesce e “grassi buoni”: trancio di salmone scottato in padella con avocado, ricchi di omega-3 per contrastare il colesterolo cattivo.

Se è l’ora dello spuntino:

  • Smoothie alla frutta: frulla frutta fresca di stagione con yogurt greco bianco, fonte di proteine.
  • Latte e cereali: latte (vaccino parz. scremato o bevanda vegetale senza zuccheri aggiunti) con un cucchiaino di cacao amaro e fiocchi di avena integrali.
  • Estratto di frutta/verdura: con una manciata di frutta secca (noci, mandorle, anacardi, nocciole, ecc.).

Il carburante giusto prima della tua corsa

Hai l’obiettivo di migliorare le performance di runner per raggiungere il tempo migliore o semplicemente per stare in forma?

Un’alimentazione equilibrata con il giusto quantitativo di nutrienti è la base da cui partire. Il cibo è la benzina del nostro corpo che, per potersi allenare, ha bisogno di energia che lo aiuti a carburare. Una dieta ben strutturata serve per affrontare al meglio le sessioni di running. Fondamentale è scegliere con accuratezza cosa mangiare prima di correre e non rimanere a digiuno nelle due ore successive all’allenamento: ciò compromette il recupero con effetti negativi sulle performance successive. La scelta dei cibi idonei dipende dal momento della giornata in cui ci si allena e dalla durata della corsa.

Il corpo come utilizza i nutrienti durante l’attività fisica?

Utilizza l’energia immediatamente disponibile, gli zuccheri, ossia i carboidrati immagazzinati nel muscolo e nel fegato sotto forma di glicogeno. Tuttavia le riserve nei muscoli sono limitate. Dopo 20 minuti, quando le scorte di glicogeno scarseggiano, entrano in gioco i grassi, immagazzinati in misura maggiore nell’organismo. Per questo motivo prima della corsa bisogna mangiare alimenti velocemente assimilabili e pronti a fornire energia. Non è vero, come si crede, che praticando attività fisica a stomaco vuoto il corpo ricorra alle riserve di grasso: utilizza, invece, le proteine dei muscoli per “nutrirsi”, intaccando la preziosa massa muscolare che è da preservare.

Regole generali per l’alimentazione

La prima è evitare cibi difficili da digerire e far trascorrere un paio di ore tra il pasto principale e l’inizio del riscaldamento. In secondo luogo è bene non allenarsi a stomaco vuoto per evitare un deficit di energia. Infine, evitare di assumere alimenti mai provati prima dato che non si conoscono i loro effetti sul nostro organismo.

La dieta ideale prima della corsa è costituita da carboidrati complessi, meglio se integrali e a chicco come orzo e riso; da una fonte proteica (carne bianca, rossa magra o pesce) e una porzione di “grassi buoni” come l’olio evo. Evitare le verdure che causano gonfiore addominale e irritano l’intestino, lasciandole al pranzo o alla cena dopo la corsa. Non eccedere con gli zuccheri, che causano picchi glicemici negativi e non sono compatibili con l’allenamento, facendo aumentare solo il peso corporeo. Preferire cibi ricchi di antiossidanti come kiwi, fragole, frutta secca che difendono dai radicali liberi e il cioccolato fondente, ricco di polifenoli (anche loro coinvolti contro lo stress ossidativo).

Le scelte alimentari pre-allenamento variano in base all’orario

Cosa mangiare prima di correre al mattino: dipende dalla durata dell’allenamento e dal tempo a disposizione. La cena della sera prima deve essere equilibrata nella ripartizione tra carboidrati, proteine e grassi buoni per evitare bruschi cali di energia. Al mattino presto, la scelta migliore è bere un succo di frutta, tè o spremuta, rinviando la colazione vera e propria al post-allenamento (per ripristinare le scorte di glicogeno e sali minerali). Tale colazione è composta da una fetta di pane tostato con marmellata oppure da uno yogurt greco bianco con un frutto fresco o una ciotola di avena e del latte vegetale. Soluzioni a cui si aggiunge una manciata di frutta secca come le mandorle. Se si corre a metà mattina, si opta per una colazione leggera di carboidrati complessi a basso indice glicemico (IG) con una fetta di pane integrale tostato e proteine come qualche fetta di bresaola.

Cosa mangiare prima di correre il pomeriggio: tra pranzo e cena è necessario fare un pranzo non troppo pesante che preveda carboidrati a basso IG come pasta leggera o insalata di farro oppure un secondo di carne bianca o pesce grigliato. No a formaggi e condimenti grassi che prolungano i tempi della digestione. Se tra il pranzo e l’orario della corsa trascorrono più di quattro ore è bene fare una merenda light a base di yogurt magro e cereali.

La corsa e la compromissione articolare

L’attività fisica è altamente raccomandata per mantenersi in salute. Le persone che praticano regolare attività fisica per un tempo uguale o superiore a 450 minuti a settimana (tre volte il tempo minimo raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), integrando lo sforzo aerobico con esercizi per la forza muscolare, la flessibilità articolare e l’equilibrio, hanno una più lunga aspettativa di vita rispetto ai sedentari1. Al contrario l’inattività fisica sta diventando uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale per l’effetto che ha sulle principali malattie non trasmissibili (come la malattia coronarica, il diabete di tipo II, il cancro mammario e del colon) e sull’aspettativa di vita in generale2. Rimane da capire a fondo quale sia la combinazione più efficace tra tipo, frequenza, durata e intensità di esercizio per varie fasce di età, per migliorare lo stato di salute e ritardare l’invecchiamento3.

La corsa è una delle attività fisiche più praticate per migliorare la funzionalità cardiovascolare, respiratoria e muscolo scheletrica e in generale la salute. L’impatto della corsa (in tutte le sue declinazioni) sulla salute delle articolazioni degli arti inferiori è al centro di un fervente dibattito tra gli esperti. ci si chiede infatti se la maggiore sollecitazione a cui sono sottoposte le articolazioni rispetto al solo sostegno del corpo (provate a saltare sulla bilancia: il vostro peso sembra aumentare!) non esponga maggiormente a lesioni meccaniche e/o a fenomeni di usura delle ginocchia, caviglie ed anche e che tali fenomeni possano degenerare in artrosi.

Una controversia è quindi se la corsa possa causare osteoartrosi di anche e ginocchia o al contrario, essere protettiva. L’artrosi è un processo degenerativo a carico delle cartilagini articolari che hanno il compito di ammortizzare le sollecitazioni meccaniche che le articolazioni sopportano e di permettere lo scivolamento delle superfici ossee che mantengono un rapporto di contiguità. La mancanza di integrità delle cartilagini modifica la struttura e la funzionalità dell’intera articolazione poiché coinvolge anche ossa, muscoli e tendini. Un decennio fa i dati disponibili indicavano che chi pratica la corsa in “quantità bassa e moderata” non ha rischi maggiori di sviluppare osteoartrosi rispetto a chi non corre del tutto, mentre per la corsa ad “alto volume” i dati sulla possibile associazione con l’osteoartrosi di anca e ginocchio non sono dirimenti 4.

Uno studio retrospettivo sulla nazionale elvetica di corsa su lunga distanza (campestre e su pista) già nel 1989 evidenziava come una storia pluriennale di corsa regolare, intensa e su lunga distanza fosse un indicatore di malattia degenerativa dell’anca (diagnosticata da precoci segni radiologici) in età avanzata, ma concludeva anche che non era un problema di salute pubblica, interessando (allora n.d.r.) pochi soggetti 5.

Quasi trent’anni dopo (e l’aumento esponenziale dei praticanti la corsa in tutti i suoi tipi), in un editoriale apparso sul British Journal of Sports Medicine, Richard Leech ripropone il quesito se la corsa protegga o promuova l’osteoartrosi del ginocchio, sottolineando che se la corsa amatoriale fosse associata a osteoartrosi del ginocchio avrebbe un considerevole significato per la salute pubblica oltre che personale. Se esiste evidenza per l’associazione tra osteoatrosi del ginocchio nei corridori di élite su lunga distanza, ancora una volta non ci sono dati conclusivi per i ben più numerosi praticanti amatoriali, per i quali la corsa avrebbe addirittura effetto protettivo6.

Dati analoghi emergono da una recente revisione della letteratura in cui si conclude che tra i corridori amatoriali i casi di osteoartrosi sono meno rispetto a chi gareggia (atleti professionisti o di élite o partecipanti a gare internazionali) e a chi non corre del tutto. Sia una vita sedentaria sia la pratica della corsa ad alta intensità e per lungo tempo sono associate a osteoartrosi di anca e/o ginocchia anche se precedenti infortuni possono essere un fattore confondente 7.

Se si vanno a cercare i fattori di rischio per gli infortuni in chi pratica la corsa, pare che le uniche associazioni “da forti a moderate” siano con precedenti infortuni e l’uso di plantari, mentre per gli altri fattori di rischio, sia personali (quali sesso, età, Indice di massa corporea, peso, altezza, vascolarizzazione tendinea, particolare conformazione articolare), sia oggettivi (quali esperienza, tipo di allenamento, superficie di corsa, tipo di scarpe) l’evidenza dell’associazione sarebbe debole 8.

Una recente revisione della letteratura sugli infortuni muscolo scheletrici nella corsa di ultra endurance sottolinea come questa sia uno sport non uniforme, dato che differisce nella distanza (dai 42,195 km a oltre 1000), nel tempo (da poche ore a molti giorni), nelle superfici (track, strada, fuori strada). Di conseguenza gli infortuni differiscono tra i vari tipi di ultraendurance oltre che tra competizione e allenamento. La maggior parte degli infortuni interessa gli arti inferiori (caviglia, ginocchia e piede, sindrome da stress tibiale mediale e sindrome patello-femorale).

Nelle corse a lunghissima distanza (1000 km) predominano le lesioni da uso eccessivo a carico di ginocchia e caviglia, mentre nei trail più brevi (65 km) gli infortuni principali sono la fascite plantare e la distorsione di caviglia9. Ulteriori studi sono ovviamente necessari, con l’indicazione a raccogliere I dati in maniera standardizzata affinché siano paragonabili e su un numero sempre più vasto di runners.

Nel frattempo si può consigliare sia a chi ha già esperienza di corsa, sia ai principianti, di dare tempo al proprio corpo di adeguarsi ai cambiamenti di “andatura” causati dai cambiamenti del tipo di corsa, di distanza, di terreno e di calzature, anche affidandosi a fisiatri e fisioterapisti che possano indicare come correggere per tempo atteggiamenti viziati causati da deficit nella flessibilità, nella forza o nel controllo motorio. Gli infortuni muscolo scheletrici vanno trattati in modo appropriato, il peso e l’indice di massa corporea.

  1. Moore SC, Patel AV, Matthews CE, Berrington de Gonzalez A, Park Y, Katki HA, Linet MS, Weiderpass E, Visvanathan K, Helzlsouer KJ, Thun M, Gapstur SM,Hartge P, Lee IM. Leisure time physical activity of moderate to vigorous intensity and mortality: A large pooled cohort analysis. PLoS Med 2012;9:e1001335.
  2. Lee IM, Shiroma EJ, Lobelo F, Puska P, Blair SN, Katzmarzyk PT. Effect of physical inactivity on major non- communicable diseases worldwide: An analysis of burden of disease and life expectancy. Lancet 2012;380: 219–229.
  3. Nuria Garatachea, Helios Pareja-Galeano, Fabian Sanchis-Gomar, Alejandro Santos-Lozano, Carmen Fiuza-Luces,Marı´a Mora´n, Enzo Emanuele,Michael J. Joyner,,and Alejandro Lucia, Exercise Attenuates the Major Hallmarks of Aging Rejuvenation Research Volume 18, Number 1, 2015
  4. Pamela Hansen, Michael English, Stuart E Willick Does running cause osteoarthritis in the hip or knee https://doi.org/10.1016/j.pmrj.2012.02.011
  5. Bernard Marti, Michael Knobloch, Alois Tschopp, Armin Jucker, Hans Howald Is excessive running predictive of degenerative hip disease? Controlled study of former elite atlete BrMedJ’ 1989;299:91-3
  6. Leech RD, Edwards KL, Batt ME. Br J Sports Med Published Online First: doi:10.1136/ bjsports-2015-094749
  7. Alentorn-Geli E, Samuelsson K,Musahl V, Green C L, Bandhari M, Karlsson J The association of recreational and competitive running with knee and hip osteoarthritis: a systematic review and meta – analysis J Orthop Sports Phys Ther 2017;47(6):373-390.doi:10.2519/jospt.2017.7137
  8. van der Worp MP, ten Haaf DSM, van Cingel R, de Wijer A, Nijhuis-van der Sanden MWG, Staal JB (2015) Injuries in Runners; A Systematic Review on Risk Factors and Sex Differences. PLoS ONE 10(2): e0114937. doi:10.1371/journal.pone.0114937
  9. Scheer V and Krabak BJ (2021) Musculoskeletal Injuriesin Ultra-Endurance Running:A Scoping Review. Front. Physiol. 12:664071.doi: 10.3389/fphys.2021.664071

Il benessere delle gambe si ottiene anche a tavola

…grazie a un menù mirato a contrastare gonfiore, pesantezza e cellulite

L’insufficienza venosa è una disfunzione circolatoria che causa non pochi problemi. Infatti si ripercuote quotidianamente per chi ne soffre con sintomi talvolta dolorosi e difficili da gestire.

Gambe stanche e pesanti soprattutto la sera, capillari molto fragili che si rompono facilmente e fastidiosissimi formicolii che si avvertono incessantemente negli arti inferiori.

E’ necessario procedere per tentativi per alleviare tali disturbi, senza tralasciare che l’apporto vincente sia dato dai prodotti che la natura ci offre. Esistono infatti tanti alimenti che ci regalano sostanze benefiche per la salute e il benessere delle gambe pesanti. Si tratta di cibi in grado di donarci “un tesoro” di sostanze antiossidanti capaci di rinforzare e rendere più elastiche le vene e di conseguenza la circolazione del sangue.

La vitamina C, il betacarotene di colore giallo-arancio, il potassio e i preziosi omega 3 dove li troviamo?

Ecco una guida di alimenti che non possono assolutamente mancare dalla nostra tavola per aiutare i vasi sanguigni a pompare meglio il sangue:

  1. Frutta di colore rosso-viola: mirtilli, fragole, more, lamponi, ribes, ciliegie.
  2. Uva (preferire quella di colore rossa e nera).
  3. Cereali integrali e crusca d’avena, che ricchi di fibre contrastano l’assorbimento degli zuccheri a livello intestinale.
  4. Ananas, per la bromelina che contiene nel suo gambo (da non buttare!).
  5. Carote, ricche di vitamina A.
  6. Zucca, fonte di potassio.
  7. Salmone, sardine e sgombro, il pesce ricco di grassi buoni.
  8. Cavolo rosso e barbabietola rossa per il loro contenuto in acido folico e vitamina C.
  9. Songino, spinaci, rucola, biete e in tutti i vegetali a foglia verde perché diuretici e depurativi.
  10. Crucifere tra cui cavoli e broccoli, per il loro elevato apporto in fibre.

Tutti questi alimenti dovrebbero essere inseriti nella consueta routine alimentare, al fine di trarne il giusto beneficio. Chiaramente variare la propria alimentazione è la soluzione vincente anche per alleviare i disturbi dell’insufficienza venosa.

Il menù ideale ricco di antiossidanti e povero di zuccheri raffinati

  • Colazione: centrifugato di ananas, yogurt greco magro con frutti rossi e fiocchi d’avena integrali.
  • Spuntino: mirtilli freschi o kiwi conditi con succo di limone.
  • Pranzo: trancio di salmone cotto al vapore con broccoli al vapore e pane di segale o di farro.
  • Merenda: una porzione di frutta secca (mandorle o noci, ricche di omega 3 e omega 6).
  • Cena: uovo in camicia con contorno di insalata di rucola e carote o spinaci ripassati in padella e una porzione di riso basmati integrale.

Sia che per il pranzo che per la cena è molto importante ridurre il consumo di sale per migliorare la nostra circolazione. Infatti, per apportare sapore ai nostri piatti possiamo sostituirlo con erbe aromatiche come il basilico, timo, maggiorana, menta, rosmarino, origano e spezie come curcuma, zenzero, cannella, cardamomo, cumino e zafferano.

Gambe gonfie e pesanti in estate: i rimedi per alleviare questi disturbi

Le alte temperature e l’afa continua, tipiche della stagione estiva, provocano una serie di meccanismi responsabili del sovraccarico venoso, vale a dire una lenta e problematica circolazione sanguigna. Nelle persone predisposte a problemi di natura circolatoria, infatti, possono manifestarsi fastidiosi sintomi come il gonfiore degli arti inferiori. Il calore determina la dilatazione dei vasi superficiali, creando un sovraccarico venoso e il conseguente rallentamento della circolazione sanguigna.

Rimedi naturali per contrastare le gambe gonfie e pesanti:

Attività fisica

È bene approfittare della bella stagione per muoversi di più: utilizzare la bicicletta, fare delle camminate durante le ore più fresche ad un passo moderato e praticare delle semplici nuotate. Il nuoto, oltre a migliorare la capacità respiratoria e la resistenza, ha effetti positivi anche sull’umore perché favorisce il rilassamento. Inoltre, il solo fatto di essere praticato in acqua, lo rende ideale per chi ha problemi di circolazione (Quando ci immergiamo in piscina o al mare il corpo perde dal 50 al 90% del peso perché è l’acqua a sostenerci). In generale, la pratica sportiva è benefica per migliorare la circolazione

Abitudini quotidiane

Fare delle docce fredde, in particolare con un getto di acqua rivolto alle gambe; questo serve a riattivare la circolazione e a donare un immediato benessere agli arti inferiori. Anche in spiaggia è consigliato camminare con l’acqua che arrivi a livello della vita (in questo modo si riattiva la circolazione). Peraltro, dormire con le gambe più in alto rispetto alla testa aiuta ad avere un migliore riposo.

Alimentazione

Le gambe pesanti si combattono anche a tavola con l’aiuto dei prodotti freschi che troviamo in natura. In questo caso la scelta deve cadere su frutta, verdura ricca di flavonoidi (ad esempio pomodoro, frutti di bosco come mirtilli e lamponi, anguria, kiwi e pompelmo). Frutta e verdura di stagione sono un ottimo rimedio contro le gambe gonfie grazie alla presenza di un minerale utile per regolare la circolazione, il potassio. Molto importante è limitare i condimenti elaborati, i grassi saturi, gli zuccheri raffinati e l’assunzione di sale (Proprio il sale si può sostituire con erbe aromatiche e spezie). Quali sono gli alimenti da inserire nella propria dieta per avere un effetto detox?

  • Ananas: dissetante e drenante è perfetto per la stagione estiva. Contiene un enzima, la bromelina che favorisce la digestione in caso di infiammazione, ritenzione idrica e cellulite.
  • Anguria: è un frutto ad alto contenuto di acqua, circa il 90%. Contiene potassio, magnesio e fosforo: minerali fondamentali per combattere l’afa e la spossatezza; perfetta da mangiare durante la merenda del pomeriggio e non a fine pasto perché diluisce i succhi gastrici rallentando la digestione.
  • Cetriolo: anche il cetriolo è un ortaggio costituito per lo più d’acqua con proprietà
    rinfrescanti e depurative. È indicato da mangiare come crudité oppure tagliato a rondelle sottili e condito con olio evo e succo di limone. Si può anche consumare bevendo dell’acqua aromatizzata con fettine di cetriolo.
  • Mirtilli: questi prelibati frutti favoriscono la riduzione dei liquidi in eccesso e contengono una discreta quantità di antociani (sono dei pigmenti appartenenti alla famiglia dei flavonoidi) che hanno un’azione antiossidante e prevengono le cellule dall’attacco dei radicali liberi
  • Pomodori: a causa del loro elevato contenuto in potassio, sono tra gli ortaggi più indicati per contrastare la ritenzione idrica ed altri disturbi come la pressione arteriosa alta. Inoltre favoriscono l’eliminazione di tossine e sono ricchi di vitamina C.